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Corrispondenze dal Messico

15/09/09 LIBERATO L’EX-ENEL. LIBERATI DALLA PENALE. ANNO ZERO

by on Sep.15, 2009, under Ambasciata dei diritti, Cirko Canaja, Collettivo Studentesco Zenit, Comunicati e Manifestazioni, Corrispondenze dal Messico, Drugstore - bottega antipro, Femme Canaja, Feste, No complanare, Osteria Canaja, Plage Sauvage, Serate e Dibattiti, Smash G8

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Liberato
l’ex-Enel. Liberati dalla penale.

ANNO ZERO

"O gentiluomini, la vita è breve e se noi viviamo,
viviamo per camminare sulle teste dei re"

(Shakespeare – Riccardo III)

 

Alle ore
8:30 di mercoledì 16 settembre i locali delle ex-colonie ENEL sono stati
riconsegnati a Morpurgo e alla ditta di cui è il maggior azionario.

Alle ore
8:30 di mercoledì 16 settembre si è estinta definitivamente la penale che da
anni gravava direttamente su di noi e indirettamente sul Comune e quindi su
tutta la cittadinanza.

Alle ore
8:30 di mercoledì 16 settembre un rappresentante del Comune nella persona del
Dirigente Maurizio Mandolini, un rappresentante di Iniziative Turistiche
Senigallia s.r.l. nella persona di Riccardo Morpurgo, ed un rappresentante
della disciolta associazione il Pane e le Rose nella persona di Marianna
Lombardi, tramite una scrittura privata, hanno formalizzato tutto questo. Anno
zero, dunque!

Questo è
il risultato raggiunto dopo cinque mesi di “trattativa triangolare” tra noi,
Morpurgo e l’Amministrazione Comunale, quest’ultima rappresentata dal
Vicesindaco Ceresoni e dall’assessore Mangialardi. Una trattativa dura, tesa,
improvvisa, che vedeva da una parte la frettolosa volontà di demolire l’ex-ENEL
in piena estate pur non avendo nessun permesso per costruire e dall’altra un’attività
politica e culturale – la nostra – già programmata e che non poteva saltare.
Nel mezzo il Comune ed una penale di oltre duecentomila euro.

Noi non
siamo eroi, tanto meno sulla pelle e le tasche degli altri. Non potevamo
permettere che la penale di circa tre anni di occupazione venisse pagata – per
ovvia impossibilità nostra – con le tasse dei senigalliesi. Non potevamo
permettere che con i soldi pubblici si risarcisse un facoltoso privato, perché
per noi sarebbe stata una scelta politicamente e moralmente devastante. Per
tutelare i nostri concittadini, la nostra dignità e la nostra coerenza abbiamo
scelto di scendere a patti e di arrivare ad un compromesso, l’unico possibile:
lasciare l’ex-ENEL senza colpo ferire, senza resistere, in cambio
dell’immediato annullamento della penale e dell’individuazione di un nuovo
spazio per far ripartire il centro sociale. La prima richiesta era ovviamente
indirizzata a Morpurgo ed alla sua società, la seconda all’Amministrazione
Comunale.

Noi
abbiamo rispettato i patti, la proprietà pure, l’Amministrazione Comunale no. Alle
ore 8:30 di mercoledì 16 settembre abbiamo abbandonato volontariamente uno
spazio, la penale è stata annullata, ma dall’Amministrazione non viene indicata
alcuna alternativa per poter proseguire legalmente l’attività politica, sociale
e culturale del Mezza Canaja. Certo, posti pubblici non ve ne sono molti. Certo,
un privato non ci affitterebbe volentieri un posto. E’ anche certo però, che se
non avessimo contestato il Sindaco durante il Cateraduno, occupato le case
della Curia, denunciato pubblicamente – per primi – i conflitti di interesse e
la mancanza di “etica pubblica” nell’azione dell’Amministrazione (vedi il caso
di Villa Bucci) e soprattutto se fossimo stati solamente un’associazione
culturale, magari un po’ vivace, ma nei fatti innocua e silente davanti alle
malefatte di chi governa, beh, sicuramente un posto si sarebbe trovato.

Lasciamo
nell’ex-ENEL un pezzo importante di noi. Vi lasciamo il sudore per averlo
ricostruito, gli affetti che lì hanno potuto incontrarsi e nascere, le
relazioni umane, sociali e politiche che grazie a quello spazio siamo riusciti
a costruire in città, la fratellanza di centinaia di compagni e compagne di
tutt’Italia, le botte date e prese per difendere lo spazio da fascisti e
spacciatori. Lasciamo un pezzo della nostra vita. Una vita che abbiamo scelto
di vivere dentro una dimensione collettiva, praticando quotidianamente il
difficile e contraddittorio percorso dell’autonomia e della libertà.

Lasciamo
tutto questo, ma usciamo a testa alta. Ora, ci offrono una trattativa non più
con l’Amministrazione – guarda caso – ma con una cordata di partiti del
centro-sinistra che vorrebbero aiutarci – farsi da garanti – nel trovare una
sede. Grazie, ma abbiamo già dato! Una trattativa con l’istituzione pubblica è
una conquista ed un riconoscimento politico che deriva da un conflitto più o
meno aspro. Una trattativa con i partiti invece, è sostanzialmente qualcosa che
sta a metà tra una politica assistenziale ed una clientelare. Dignità,
coerenza, credibilità e stile ci impediscono di accettare.

Preferiamo
percorrere altre strade, in basso a sinistra. Preferiamo guardare lontano, in
alto, sulle gru delle fabbriche chiuse o sui tetti dei provveditorati e dei
Musei Capitolini. Guardiamo ad una nuova stagione di lotte e ad una possibile
ricomposizione di classe. Guardiamo con sorriso complice le prime avvisaglie di
un nuovo movimento sociale dopo anni di torpore e barbarie. Anche noi andremo
sui tetti, insieme a tutte e tutti coloro che sono stanchi di pagare la crisi,
sul tetto di un nuovo spazio occupato per liberarlo dalla rendita, dalla
speculazione, dalla privatizzazione e dal degrado, per farne non uno spazio
pubblico, ma uno spazio comune. Per noi è l’anno zero, e sappiamo bene che
bisogna avere una casa per andare in giro per il mondo.

Infine,
vorremmo concedere “l’onore delle armi” a Roberto Paradisi, nostro strenuo
nemico e puntuale contabile, che in questi anni ha impugnato la penale come principale
arma per aizzarci contro la folla. Caro Roberto, ti sei battuto con valore,
ma questa battaglia finisce qua e tu l’hai persa.

 

Mezza Canaja

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ATTI DI RICONSEGNA DELL’EX-ENEL

 

LO SMONTAGGIO DELL’EX-ENEL

 

 

 

 

 

 

RICORDI IMPRESSI NEL MURO

 
 
 

 

 

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08/12/08 LA CONTRADDIZIONE DI ESSERE DONNA IN MESSICO

by on Dec.09, 2008, under Corrispondenze dal Messico

LA CONTRADDIZIONE DI ESSERE DONNA IN MESSICO

L’instancabile
metropoli ogni mattina si sveglia e comincia a vivere di nuovo; la musica e il
forte odore di cibo pervade le strade accogliendo i disperati alla ricerca
della sopravvivenza.

Le donne
sono la spinta propulsiva che permette a questa società la rinascita ogni
giorno. In un paese latino, a cultura matriarcale, com’è il Messico, la figura
femminile è fondamentale.

Questa
parte d’umanità è la prima che si sveglia, che inizia a fare i lavori di casa,
che dà da mangiare alle tante bocche della famiglia. Queste donne forti
dell’estremo nord della metropoli, fin da piccole apprendono il loro ruolo
all’interno della società e a soli 15 anni vengono “presentate” al mondo con
una grande festa, se non sono già rimaste incinte, questo rituale permette al
quartiere di capire che questa bambina è già pronta a compiere il ruolo per il
quale è stata creata: creare altri esseri umani.

E’
importante ricordare che per il governo di questa città  si sta facendo il possibile per educare
sessualmente la comunità cittadina, anche applicando un’avanzatissima legge in
favore dell’aborto, ma in questi quartieri semi-dimenticati si continua a far
nascere vite e l’unico futuro che si prospetta per loro è la strada.

Le donne-
bambine passano dalle proprie famiglie alle nuove famiglie, unico futuro
probabile, unica prospettiva possibile. Una volta sposate e “fabbricato” i loro
bambini, iniziano a ingrassare, a non curarsi, la massima utilità sociale delle
donne è stata compiuta: un uomo, tanti bambini, una famiglia.

A prima
vista sembrano donne forti, felici di se stesse, convinte delle loro scelte. Le
prime immagini che mi si prospettano sono di donne che accudiscono i loro tanti
fanciulli, che cercano di mandare avanti le proprie famiglie, che lavorano
perchè qui i soldi non ci sono mai, che preparano deliziosi cibi con le poche
cose che hanno, e che tuttavia continuano a sorridere. A poco a poco però,
vivendo a contatto con loro e con le loro chiacchiere, ti accorgi del gran
malessere che portano dentro.

Non si
rendono conto di quello che hanno dentro, non hanno tempo per ascoltarsi o
dedicarsi a se stesse: il ruolo è stato inculcato. E sono convinte solo che
senza un uomo non potrebbero andare avanti. E vedo i loro uomini pretendere
tutto; molti, ubriachi, passano le giornate “ganandose la vida” e poi ritornano
a casa, sfogano le frustrazioni sulle loro donne, chiedono divertimento.

Insomma le
donne mandano avanti la società, essendo appunto una cultura matriarcale, non
rendendosene conto, ma si aggrappano alla figura maschile pensando che solo
cosi’ sia possibile la loro esistenza. Proprio qui sta la grande
contraddizione: l’indipendenza e la dignità di essere donne è nelle loro mani,
però non riescono a coglierla, o meglio, nessuno ha dato loro gli strumenti per
cercare la felicità essendo se stesse.

In questa
quotidianità fatta di continue discriminazioni, abusi e frustrazioni, i
bambini, naturalmente, apprendono che l’unica maniera possibile di vivere sia
quella che i loro genitori e i quartieri dove vivono gli prospettano.

E cosi’ si
continua, all’infinito!!!

La cena è
servita, e domani è un altro giorno e si continua a sopravvivere.

 

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09/11/08 MI MEXICO QUERIDO..

by on Nov.10, 2008, under Corrispondenze dal Messico

Mi Mexico
querido..

ritrovo
questo paese come l’avevo lasciato, cazzo se mi piace, anche se questa volta, o
per caso o in maniera voluta, ancora non so bene, mi sono addentrata più in
profondità, in territori a me sconosciuti che mi portano a viaggiare in quei
luoghi dove senti l’odore di merda prima ancora di entrare nel quartiere, di
entrare nel “degrado” assoluto, parola corrente nelle nostre città ma chi la
usa evidentemente non ha mai messo fuori il suo bel nasino.

La
contraddizione di questo paese è insita nella sua essenza, soprattutto a Città
del Messico, con i suoi ben 17 milioni di abitanti. Nel “Monstruo”, la
capitale, le persone che non vivono nei quartieri ricchi, tranquilli, nel sud
della città, vivono in condizioni di media o bassa povertà; in case costruite
alla buona nel periodo di maggior popolamento della città. Sono persone
arrivate da lontano, l’estrema povertà muove questi corpi, cresciute con l’idea
che o si va negli stati uniti o si va nel distrito federal, almeno qui in
qualche maniera si riesce a mettere qualcosa sotto i denti.

I giovani
che vivono in questi quartieri non hanno uscita. Crescono con la idea che la
sola uscita possibile sia rubando, e per di più a gente come loro, perchè nei
quartieri dove i soldi ce ne sono non riusciranno mai a entrare. Cercano di
guadagnarsi il “rispetto” nella strada uccidendo e assaltando. Uno sguardo
prolungato o una parola detta male viene presa come affronto e con estrema
leggerezza tirano fuori le loro pistole dai pantaloni, mostrandoti come nella
strada la sopravvivenza passa solo attraverso le pallotole. La loro nuova
famiglia diventa la banda.

Nelle
varie bande sparse nel territorio della enorme capitale non ci sono leader o
capi ben definiti, non esistono gerarchie del potere, sono persone che per
estrema necessità si uniscono e si fanno forza a vicenda. Passano le giornate
rubando violentemente il pane, ubriacandosi e drogandosi, perchè qui la “vida
vale madre”.

Nel
momento in cui riesci a conquistarti il rispetto ai loro occhi, sono disposti a
raccontarsi: la loro condizione esistenziale viene analizzata con estrema
lucidità e se la sbornia è alta si lasciano andare a lacrime lancinanti.

Nella
grande città della contraddizione si legalizza la marijuana e si applicano
leggi interessanti dal punto di vista dei diritti civili, ma c’è chi di queste
leggi non ne conosce nemmeno l’esistenza e continua a vivere come un’invisibile
all’interno della propria casa.

E si
continua a sparare perchè la vita vale quanto una pallottola ben sparata.

 

 

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CORRISPONDENZE DAL MESSICO

by on Nov.09, 2008, under Corrispondenze dal Messico

 

.. I miei racconti sono una piccola visione dell’immensa metropoli in cui mi trovo a vivere, sono spaccati di una parte

di società dimenticata, sono pezzi dei quartieri più poveri del sud del mondo che viene sfruttato senza dare la

parola alle milioni di persone che lo popolano, sono narrazioni che cercano di raccogliere il grido inascoltato della

disperazione..

 

 

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