CSOAMezzaCanaja

22/10/08 SENIGALLIA A ROMA – IL MEZZA CANAJA ALLA SAPIENZA

by on Oct.21, 2008, under Comunicati e Manifestazioni

 

st1:*{behavior:url(#ieooui) }

/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:”Tabella normale”;
mso-tstyle-rowband-size:0;
mso-tstyle-colband-size:0;
mso-style-noshow:yes;
mso-style-parent:””;
mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt;
mso-para-margin:0cm;
mso-para-margin-bottom:.0001pt;
mso-pagination:widow-orphan;
font-size:10.0pt;
font-family:”Times New Roman”;
mso-ansi-language:#0400;
mso-fareast-language:#0400;
mso-bidi-language:#0400;}Senigallia a Roma – Il Mezza Canaja
alla Sapienza

 
Cronaca e riflessione
di un nostro compagno studente di filosofia alla Sapienza di Roma, sulle
mobilitazioni contro il Decreto-Gelmini.

 
“NON PAGHEREMO NOI LA VOSTRA
CRISI”

st1:*{behavior:url(#ieooui) }

/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:”Tabella normale”;
mso-tstyle-rowband-size:0;
mso-tstyle-colband-size:0;
mso-style-noshow:yes;
mso-style-parent:””;
mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt;
mso-para-margin:0cm;
mso-para-margin-bottom:.0001pt;
mso-pagination:widow-orphan;
font-size:10.0pt;
font-family:”Times New Roman”;
mso-ansi-language:#0400;
mso-fareast-language:#0400;
mso-bidi-language:#0400;}

Malgrado i principali quotidiani nazionali abbiano minimizzato, i due
giorni di manifestazioni studentesche sono stati un evento cruciale, uno
spartiacque nel lungo percorso di mobilitazione. è doveroso sottolineare che
non si è trattato di semplici passeggiate per le vie di Roma, e per un motivo
semplice: migliaia di studenti, hanno deciso cortei estemporanei non
autorizzati. Insomma, mine vaganti hanno girato per Roma, bloccando la
circolazione, e costringendo le autorità a deviazioni di traffico continue. Che
poi non sia successo nulla, è un’altra storia: la potenza di una moltitudine di
migliaia di studenti ha dettato i tempi, e imposto i propri percorsi. E così si
è prodotta un’altra vittoria: questi cortei hanno accumulato un carico di gioia
, difficile da descrivere, ma altrettanto fondamentale per il prosieguo della
mobilitazioni. Abbracci, sorrisi, baci ,amicizia, hanno attraversato e
accompagnato fino alla fine i cortei; un affetto fraterno è sbocciato lungo le
strade di Roma, custodito dalle imponenti vestigia della storia millenaria
della Capitale. Insomma, per chi ha vissuto intensamente i due giorni, qualcosa è cambiato.

Ma andiamo con un po’ di ordine e ripercorriamo i fatti recenti:
l’assemblea di Ateneo della Sapienza di giovedì 16 ottobre, e la partecipazione
di migliaia di studenti –una partecipazione tale da poter essere contenuta solo
dalla piazza della Minerva –è stato il risultato di continue assemblee, prese
di parola e passa-parola nelle facoltà. È stata la capacità di un’azione
collettiva cresciuta di giorno in giorno, in grado di declinare la presa in
carico dei problemi aperti dalla finanziaria di Tremonti, non secondo una
modalità dispersa e privata, ma comune e politica. Via via la mobilitazione si
è generalizzata dai singoli alle facoltà e dalle facoltà all’ateneo.
L’obiettivo era semplice: chiedere il blocco della didattica, e in generale una
presa di posizione decisa da parte della Sapienza. Perché di fronte ad una
legge approvata in estate e ad un governo che squalifica la discussione
parlamentare come “ostruzionismo perditempo”, non ci sono spazi di discussione
. Di fronte al piglio decisionista assunto da Berlusconi, non esiste altra
pratica possibile per farsi ascoltare che la generalizzazione del blocco, e la
paralisi del paese. E invece il corpo docente e il rettore neo-eletto Frati,
hanno per ora cincischiato, biasimando in via teorica la ristrutturazione
dell’Università, ma poi, concretamente, cercando alcune volte timidamente il
dialogo, altre volte accettando remissivamente la legge, altre ancora minacciando
nella speranza di contrattare. Infine, è utile ricordarlo, malgrado i vani
proclami, il corpo docente è quello che meno subirà gli effetti della
finanziaria; i baroni resteranno al loro posto.

La risposta di Frati di fronte alla domanda secca di blocco della
didattica è stata negativa. C’era d’aspettarsi che nessuna delle possibili
azioni in suo potere per bloccare l’Ateneo più grosso d’Europa sarebbe stata
presa; così come c’era da aspettarsi che l’assemblea non avrebbe rappresentato
altro che l’inizio della mobilitazione, la prima presa di parola pubblica da
parte del movimento studentesco. Dalla fine dell’assemblea, hanno seguito due
giorni intensi di manifestazioni non autorizzate. La prima, un corteo spontaneo
di circa 5,000-6,000 studenti è partito verso il ministero del Tesoro in via XX
settembre, e poi da lì al blocco della stazione Termini; il corteo è durato
circa quattro ore, durante le quali la circolazione è stata bloccata e deviata.
Ha seguito l’occupazione della facoltà di Lettere e Filosofia per preparare lo
spezzone sulla formazione dello sciopero generale indetto dai sindacati di base
il giorno successivo. Infine, venerdì 17, lo spezzone di scuola e università ha
deciso di staccarsi dal percorso concordato e dirigersi verso il ministero
della Pubblica Istruzione. Un corteo questa volta durato sette ore (dalle 10,00
alle 17,00), e composto da più di 10,000 persone  ha preso possesso delle strade di Roma,
operando continue rotture rispetto ai percorsi concordati e bloccando di fatto,
ancora una volta, il traffico della città. Un corteo incontenibile, come non se
ne vedevano da tempo.

“Non
pagheremo noi la vostra crisi”
è stato lo slogan più
ripetuto, quello che ha scandito le giornate di mobilitazione. Perché gli
studenti lo hanno fatto proprio?

Poco tempo fa è stato pubblicato dall’OCSE un resoconto impietoso,
quanto ai risultati, sulla qualità della produzione dell’università italiana.
Che cosa ci dice l’analisi? Che la ricerca italiana, in fondo, è poco
competitiva sul mercato globale; le retribuzioni sono troppo basse rispetto
alla media internazionale, e per questo, chi fa ricerca e produce sapere,
essendo pagato male, lavora male. Interessante è però capire quali siano le
cause che hanno condotto a tale stato impietoso. Infatti risulta che i
produttori di sapere sono pagati male perché i soldi vengono distribuiti tra
troppe persone -gli stipendi sono i più bassi, ma nello stesso tempo lo sono
pure le ore di lavoro effettivamente svolte. La soluzione proposta viene
spontanea: bisogna tagliare la spesa pubblica, e nello stesso tempo diminuire
repentinamente  il numero di persone
retribuite dalle istituzioni preposte alla trasmissione e produzione di
conoscenza.

Dobbiamo dedurre che la maggioranza di governo, quando ha deciso con la
finanziaria di mettere mano alla disastrosa situazione dell’università
italiana, tagliando i fondi destinati alla ricerca, determinando il blocco del
turn-over tra professori e ricercatori, e spingendo le università a
trasformarsi in fondazioni di diritto privato, avesse ben presenti le analisi
dell’OCSE. Peccato però che qualcosa venga omesso da queste analisi: il lavoro
in stages e tirocini spesso non retribuito agli studenti, le ore di
insegnamento a carico di ricercatori che invece dovrebbero essere svolte da
professori, e infine la mancanza di uno straccio di strategia economica delle
imprese sull’università. Queste sopratutto non si sono mai viste negli atenei,
non hanno mai investito un solo centesimo, malgrado i continui proclami che da
più parti vengono sull’importanza strategica della ricerca e della conoscenza;
o se si vedono, è per trovare manovalanza da sottopagare. Allora accettiamo ben
volentieri la conclusione che l’università italiana produce male perché paga
male i suoi produttori, e quindi blocca le garanzie di mobilità. Ma le
soluzioni proposte dall’OCSE, e messe in pratica dal governo sono assolutamente
vergognose, e per un motivo semplice: esse imputano le colpe a chi ha dovuto
già scontare, durante questi anni, l’inettitudine della classe politica, la
rapacità di quella imprenditoriale, la spartizione di potere tra baroni.

Il governo insomma ci sta
dicendo: “Abbiamo dato troppo e mantenuto persone che dequalificano
l’istruzione. È ora invece di far andare avanti solo quei pochi che se lo meritano.”.Bisogna  ribaltare questo discorso: noi siamo in
credito di fronte all’inettitudine della classe politica, che da quindici anni
fallisce riforme sulla nostra pelle; noi siamo in credito di fronte a un potere
baronale che gestisce i fondi in modo clientelare; noi siamo in credito di
fronte a un’imprenditoria rapace!

Sono queste le poste in gioco
del movimento studentesco che sta nascendo. L’altezza della sfida è certo
significativa, eppure è necessario non sprecare l’occasione che i drammatici
tempi di crisi, nel bene e nel male, ci offrono. “Non pagheremo noi la vostra
crisi” significa infatti un’altra cosa, oltre al fatto che non abbiamo
intenzione di mettere né di perdere  un
soldo in più: significa anche che la crisi è la loro, della loro arte politica,
della classe dirigente e delle loro ricette. Si sta svelando in un baleno anche
la maturità dei movimenti politici, e questa maturità sta attraversando tutti i
discorsi delle mille assemblee che scandiscono questi giorni intensi: centrale
infatti è anche l’attenzione alla sperimentazione di nuove pratiche di
resistenza e attacco, che non cadano nella ritualità. Ben consapevoli che la
lotta sarà lunga, e che quindi bisogna conservare le forze quanto più
possibile, nient’altro che non sia funzionale all’ottenimento dell’obiettivo
viene agito. La sfida così viene lanciata in tutta la sua ampiezza: una sfida
che va diritta alla riconquista di un nuovo e duraturo protagonismo politico
dei movimenti sulla scena pubblica.

 Mezza Canaja (Brigata Roma)

 


Comments are closed.

Looking for something?

Use the form below to search the site:

Still not finding what you're looking for? Drop a comment on a post or contact us so we can take care of it!