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07/07/09 TERRITORI CONTRO IL G8 – ARTICOLO DI NICOLA MANCINI USCITO SUL SETTIMANALE CARTA

by on Jul.10, 2009, under Comunicati e Manifestazioni, Smash G8

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TERRITORI CONTRO IL G8

(Nicola Mancini)* 

“In
tutti questi spazi, un luogo apparentemente anodino […] delimita in realtà uno
spazio in cui l’ordinamento normale è di fatto sospeso e in cui che si
commettano o meno delle atrocità non dipende dal diritto, ma solo dalla civiltà
e dal senso etico della polizia che agisce provvisoriamente come sovrana”

(G.
Agamben – “Homo Sacer”)

 

L’aristocrazia imperiale un tempo attraversava le città, allestiva
sontuosi banchetti nelle piazze, s’affacciava dai balconi per salutare la folla
per poi mettersi in posa per la foto di gruppo. Durante gli anni ‘90 del secolo
scorso l’ottimismo era all’ordine del giorno, il ciclo espansivo del
neoliberismo prometteva ricchezze per tutti.

Quando alla menzogna del potere cadde la maschera, l’aristocrazia
imperiale prima si blindò dietro grate ed eserciti per poi darsi alla fuga.
Luoghi sperduti tra i monti o in mezzo ai mari furono i nuovi set che il potere
allestì per la propria autocelebrazione. A Genova, la metropoli fu campo di battaglia:
guerra asimmetrica contro i civili.  Dopo
la loro ritirata con fuoco di copertura, in molti continuarono ancora a
mettersi di traverso: blocchi e fuochi lungo le strade per Evian, Gleneagles e
Heiligendamm.

Sarebbero dovuti tornare in Italia quest’anno, dopo otto anni e 16 colpi
di pistola, e trovarsi in una nave a largo della Maddalena, ma poi il terremoto
economico ha scosso il mondo e quello geologico l’Abruzzo.

Eccolo il G8 della crisi, quello del primo presidente nero d’America e
del Presidente “papi” d’Italia. Un set umile, sobrio, quello dell’Aquila, che
renda chiara la vicinanza e la magnificenza di lor signori rispetto a chi è
terremotato dalla crisi altrui e dalla terra propria. Un G8 che tenta di
rifarsi il trucco con il sangue di circa trecento abruzzesi morti sotto le
macerie: una speculazione schifosa sul dolore, il lutto e la tragedia di
un’intera comunità.

I no-global non offenderanno una terra già offesa! Ma il
Presidente-pedofilo non sa che i “no-global” sono a fianco delle popolazioni
terremotate sin dai primi giorni dopo il sisma. I no-global sono con gli
abruzzesi, a “servizio” degli abruzzesi, con e per la rete “3e32”.

“L’Aquila e le altre” è l’appello che lancia una nuova dimensione della
contestazione al G8, dando centralità alla dimensione sociale e territoriale
delle lotte. Decentrare la contestazione, farla esplodere in tutte le città
dove ogni giorno i movimenti agiscono. I dispositivi di sfruttamento economico
e sociale che il G8 rappresenta agiscono nella quotidianità di ogni persona. La
crisi che oggi costringe molti alla cassa integrazione, alla disoccupazione, a
condurre una vita di rinunce e sacrifici a causa dello squilibrio tra lo
stipendio e il costo della vita, è il frutto di un modello economico criminale
e parassitario che ha fatto dell’adagio “profitti privati e perdite pubbliche”
la bussola della propria azione politica.

Non pagheremo noi la vostra crisi! E’ la “dichiarazione d’intenti”,
il  “programma politico”, scritto nelle
strade durante l’autunno italiano e che si è fatto “onda perfetta” durante
l’attacco al G8 dell’università a Torino. La stessa onda che ha incendiato le
strade della Grecia, che ha sequestrato i manager in Francia, che ha assediato la City di Londra e che in
questi giorni invade le piazze di Berlino. La stessa onda che si sta scontrando
contro il regime dell’Ayatollah per la libertà e la democrazia in Iran.

Il G8 e la corte dei miracoli ha prodotto la crisi. I soldi pubblici
hanno salvato le banche, le stesse banche ai cui mutui sono legate con nodo
scorsoio molte vite. Solo il set dei grandi sarà per tre giorni all’Aquila, il
G8 è qui e ora, immanente al governo ed allo sfruttamento quotidiano delle vite
e dei territori. Il G8 è ovunque, per questo può e dev’essere colpito ovunque.

Il campo di battaglia è completamente biopolitico. Uno scontro tra
potenza e potere, tra potere costituente e potere costituito, tra un’istanza
sociale che pone un diritto e un’amministrazione statale che impone una legge. Un
conflitto che si dà in quella zona d’indistinzione tra corpo e norma, tra
giustizia e legge.

La tecnologia urbanistica è ciò che oggi connette la vita con lo spazio.
Se giustamente si ritiene che la città sia completamente investita dal rapporto
capitalistico di valorizzazione e di sfruttamento capace di riflettere ed
affermare in essa la gerarchia globale, se di conseguenza si ritiene che la
divisione del lavoro non passi più tra nazioni, ma tra gli spazi urbani e che
la produzione di valore e la capacità di sfruttamento siano immanenti ai rapporti
sociali, al di là dell’orario di lavoro, allora, vuol dire che il comando sulla
città si dà immediatamente come comando sulla vita.

All’Aquila, dentro i campi, grazie all’emergenza terremoto, si stanno
sperimentando nuovi dispositivi di controllo che possano ridefinire la
connessione tra vita e spazio. La costruzione dei campi e le norme che li
regolano ridefiniscono la funzione urbanistica come agente di sicurezza. Non
polis, ma polizia. Non la libertà, ma la sicurezza come link tra vita e spazio.
E’ sulla paura che si fonda il presupposto per il mantenimento dell’ordine,
grazie a delle pratiche liberogene che mirano a proteggere la comunità da un
male potenziale producendone uno reale ed effettivo. I campi sono a tutti gli
effetti uno spazio anomico in quanto posti fuori per decreto-legge
dall’ordinamento giuridico nomale, ove il dato giuridico e il dato di fatto
intersecandosi, diventano indistinguibili, come lo diventano il corpo e la
norma. Ecco perché corpo umano e spazio metropolitano diventano campi di
battaglia biopolitici, uno scontro che mira a stabilire la coincidenza o la
definitiva separazione tra giustizia e legge.

La posta in gioco è chi decide, il valore sociale della decisione e la
sua attivazione. L’Aquila si ricostruisce a colpi di decreti-leggi, derogando a
causa dell’emergenza ad un percorso di condivisione e di trasparenza su chi,
dove e come costruire, oppure, si ricostruisce secondo criteri di giustizia –
possibilmente antisismici – e quindi secondo l’indicazione e il volere degli
aquilani? Lo hanno già detto, “vogliamo case e non crociere”, per questo
l’opposizione al G8 all’Aquila non potrà che vedere il protagonismo degli
aquilani e la centralità della ricostruzione: della giustizia, appunto!

Allo stesso modo nella città di Ancona vi è uno spazio anomico dove
corpo e norma, giustizia e legge confliggono. 
L’area portuale è una frontiera interna alla città il cui
attraversamento è possibile muovendosi in equilibrio tra il dato giuridico e il
dato di fatto. Da una parte i cittadini, “vite qualificate” che si vedono
privati di un pezzo della propria città. Non un pezzo qualsiasi, come per ogni
città di mare, il porto è Ancona, la sua storia, la sua cultura e la sua
economia. Dall’altra “nuda vita” in fuga da fame e guerra, esseri privi e
privati di tutto se non del corpo: proletariato, forza lavoro, avrebbe detto il
filosofo.

L’area portuale era un bene comune, apparteneva alla città, ne plasmava
la sua dimensione sociale e solidale. Ora ne è vietato l’attraversamento e la
sosta pedonale a chi non è in possesso di un biglietto d’imbarco e, per chi
proviene dal mare, l’uscita è possibile solo passando attraverso tornelli ed è
rigorosamente sorvegliata da apposite telecamere e da uno scanner che rileva,
attraverso la temperatura corporea, la presenza degli immigrati dentro i
camion. Reti e barriere sovrastano e delimitano l’intera area, formando di
fatto una zona rossa al servizio di chi detiene il potere politico ed economico
del nostro paese e che “usa” la scusa del terrorismo per creare un nuovo
confine e sbarramento a chi cerca di entrare disperatamente in Italia in
condizioni disumane, nascosto nei tir che partono dalla Grecia o dall’area
balcanica. Come nei campi, il nesso tra vita e spazio è la sicurezza.

Da Patrasso tentano di raggiungere Ancona nascosti dentro I TIR o
attaccati all’asse delle ruote: dopo ore e ore di viaggio arrivano spesso già
morti asfissiati o, abbandonandosi per la stanchezza, schiacciati sotto le
ruote dei camion: anche la settimana scorsa è morto un ragazzo, è morta
l’ennesima disperata speranza di sopravvivere.

Il mare Adriatico è cerniera tra popoli, una soglia tra territori ricchi
e spazi segnati dalla povertà, continuamente attraversato da flussi che
deterritorializzano e riterritorializzano identità, saperi, culture, territori
e la loro organizzazione urbana e sociale.

Il migrante è un paradigma della società attuale in quanto mette
radicalmente in crisi l’ordine del discorso sulla sovranità moderna, mostrando
tutto lo scarto che vi è tra natività e nazionalità, tra uomo e cittadino. Lo jus
migrandi
, oggi, sembra declinarsi come possibilità di lasciare il proprio
paese, ma impossibilità/divieto – formale – di approdare in un altro. Il
migrante è bandito ed è questa sua esclusione ad includerlo nello spazio
normativo come mera forza lavoro e/o come “untore”. Il suo corpo è terreno di
sperimentazione di un nuovo “diritto del lavoro” e di nuovi dispositivi
securitari. Anche nelle province italiane si delinea un nuovo spazio urbano,
dove il centro è periferico e la periferia acquista centralità, dove nord e
sud, povertà e ricchezza abitano e si contendono lo stesso spazio. Le
demarcazioni geopolitiche non sono più tra Stati, ma dentro le metropoli, e non
sono confini, ma soglie.

Il 9 luglio saranno le reti sociali, i movimenti marchigiani, a porre la
questione su a chi appartenga la città, valicandone gli insopportabili limiti.
Ancora una volta chi decide sulla città e quindi sulla vita? Ancora una volta
una questione di giustizia.

Lo scontro con il G8 è dispiegato e non è possibile sottrarsi.
All’Aquila e ad Ancona, passando per Vicenza, i territori si scontreranno con
le norme che l’aristocrazia imperiale vuole imporre. Una pratica di giustizia
fondata su passioni e necessità, contro dei dispositivi legislativi atti a
conservare e difendere ricchezze e privilegi. Vita e spazio, corpo e metropoli;
nel mezzo l’infuriare della battaglia per deciderne i termini della relazione.

  

*Attivista del CSOA Mezza
Canaja di Senigallia

Versione integrale
dell’articolo uscito sul settimanale “CARTA” n. 24 del 3 luglio 2009


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