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10-11-12/10/08 “FREEDOM OR DEATH” – SULL’INCONTRO DEI CENTRI SOCIALI AL CS RIVOLTA

by on Oct.15, 2008, under Comunicati e Manifestazioni

 
«Freedom or death»

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Sull’incontro al CS
Rivolta del 10-11-12 ottobre 08

 

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mso-bidi-laDOCUMENTO CONCLUSIVO
DELL’ASSEMBLEA DEI CENTRI SOCIALI:

Dopo tre giorni
di lavoro intenso proviamo a definire le conclusioni, nella consapevolezza che
concludere significa piuttosto aprire, di certo non fare una sintesi.
Conclusioni consonanti, infatti, con lo spirito che ha costituito e
attraversato l’intera esperienza di discussione del Rivolta di Marghera: l’anno
zero, l’atto di inizio, nella sperimentazione di soggettività, all’interno di
una nuova fase, dove le bussole del passato non funzionano più e dove è
necessario ricostruire un tempo, uno spazio, una “geografia”, una pratica,
adeguate al presente e a ciò che ci attende. Dunque conclusioni che vanno
verificate praticamente e che soltanto la ricerca materiale può rendere valide
e trasformare in istanze di lavoro, in continuità organizzativa, in capacità di
connessione. Tre considerazioni elaborate collettivamente che definiscono lo
spartito attorno al quale far convergere le variazioni singolari.
La prima considerazione che facciamo è relativa al bilancio politico di
questa tre giorni. Si tratta indubbiamente di un bilancio molto positivo e
questo lo diciamo al di fuori di ogni tentazione auto-celebrativa. In un
periodo dove la finzione del linguaggio prevale sulla potenza della vita, è
decisivo fare un bilancio che proprio dalla vita prende le mosse: laddove è
abitudine diffusa dire di essere in tanti quando si è in pochi, di fare tanto
quanto non si fa nulla, il problema è mettere al centro la qualità del corpo
politico, delle pratiche concrete, degli affetti, delle relazioni. Quando
diciamo bilancio positivo parliamo dunque dell’accumulo di esperienze comuni
che nella tre giorni di Marghera effettivamente si è dato.

Proviamo a
raccontare questo accumulo a partire da due elementi principali. In primo luogo
la qualità del discorso sulla crisi della globalizzazione e del modello
economico neo-liberista. Parlare in questi giorni di crisi equivale a
raccontare un ovvietà: il senso comune, le diffuse condizioni di panico, la
produzione comunicativa, i disperati interventi della governance
americana o europea, una costellazione di eventi che fanno della crisi
l’orizzonte materiale del nostro presente. Eppure, a leggere con attenzione gli
analisti economici o i posizionamenti politici, prevale una lettura che della
catastrofe sa fare solo una descrizione, quasi che la crisi non riguardasse la
vita reale di ciascuno, quasi che la catastrofe rimanesse distante un palmo
dalle esperienze singolari e collettive. Un discorso banale dunque perché
impotente, quando non ipocrita o omissivo. Quello che abbiamo tentato di fare a
Marghera, invece, è stato leggere la crisi a partire dallo sfruttamento, dai
rapporti di forza, dalle forme di sottrazione collettiva dalla miseria (come
leggere altrimenti quanto è accaduto nella vicenda dei mutui subprime
negli Usa). Dunque il discorso sulla crisi è immediatamente un discorso sulla
soggettività, nella convinzione che la velocità delle mutazioni del presente
impone conseguenze pratiche inaggirabile sul terreno del movimento e
dell’organizzazione. La crisi letta con le lenti della trasformazione e non con
la chiacchiera della disperazione.

In secondo
luogo la qualità e la quantità della composizione soggettiva che ha dato vita a
questi tre giorni di incontro e di discussione. Sulla quantità, l’evidenza dei
numeri parla da sola: circa mille partecipanti da tutta Italia, decine le
strutture coinvolte, gli spazi sociali, le reti. Una quantità che non si limita
a registrare una convergenza tattica, ma segnala una disponibilità
straordinaria a rimettersi in cammino e a farlo in tante e tanti, a partire da
un terreno di complessità che si propone una continua espansione. Sulla qualità
della composizione il riferimento immediato è alle forme di organizzazione del
vecchio ciclo di lotte: assemblee di estrema ampiezza che si concludevano, con
minor fatica e con minor tempo, al seguito di non più di dieci interventi,
molto spesso gli stessi. Questa la verità di un ciclo di lotte che ci ha visto
protagonisti e che abbiamo vissuto e attraversato al meglio, ma che è stato
segnato da un limite profondo nella produzione di discorso e nella definizione
dei dispositivi organizzativi. A Marghera è successo qualcosa di davvero nuovo:
oltre cento interventi in tre giorni, un enorme dato quantitativo che parla
della qualità del metodo e della ricerca politica. Non si tratta di sancire il
primato della diversità (di parola) sulla capacità di organizzazione, ma di
assumere la molteplicità come tratto e trama costitutivi della soggettività.

Due elementi,
dunque, che ci fanno ritenere l’esperienza del Rivolta straordinaria e positiva
e che ci spingono ad accettare la sfida che ci siamo posti in questi mesi e
nella preparazione del meeting: dare vita ad un nuovo spazio politico
organizzato. Il concetto di spazio politico, in questo senso, si discosta da
quello di sfera pubblica che abbiamo conosciuto e praticato in questi anni.
Mentre la sfera pubblica (quella di cui abbiamo fatto esperienza, ad esempio,
nei Social forum) propone un’idea normativa di discorso, dove la parola prevale
sulla vita, la pluralità sulla pienezza delle differenze, la decisione separata
sui meccanismi di democrazia assoluta, lo spazio politico mette al centro il
linguaggio come espressione, corpo, pratica: espressione di ciò che si fa e
concretamente si costruisce tutti i giorni; differenza e decisioni da
verificare materialmente, nel mezzo del processo organizzativo.

Questi elementi
di positività e di scelta ci aiutano inoltre a fare una seconda
considerazione
: la discontinuità del metodo. La pluralità di momenti
assembleari (formazione, migranti, centri sociali) che hanno scandito le tre
giornate di Marghera, non ha avuto nulla a che fare con il solito rituale dei
tavoli tematici, emanazione dell’organizzazione politica centrale, trascendente
(c’è tanta trascendenza anche nelle dinamiche di movimento, non solo in quelle
di partito). La molteplicità delle assemblee è stata piuttosto il metodo
attraverso il quale abbiamo costruito e intendiamo costruire lo spazio politico
organizzato, uno spazio immanente, dunque, alle reti sociali, alle esperienze
di movimento che attraversiamo. Un passaggio strategico che ci fa ripensare
anche il tema del programma e dell’agenda politica al di fuori delle vecchie
logiche. Il programma, al pari dell’agenda, non si dà in termini lineari e
preventivi, ma viene, e non può essere diversamente, di volta in volta definito
dalle lotte e dalla nostra capacità di essere interni alle lotte che si danno.
In questo senso il tempo dell’organizzazione è un tempo fatto di salti e di
discontinuità, un tempo che vive di condizioni aleatorie, così come aleatorio è
il ritmo dei conflitti. Lo spazio politico che abbiamo iniziato a definire
coglie il problema della soggettività, dunque, come produzione e come continuo
lavoro di autoformazione.

La terza
considerazione
che facciamo è relativa al nome di questo nuovo spazio
politico. Non è di certo casuale che in tre giorni intensi di lavoro e di
discussione questo tema non è mai stato sollevato da nessuno degli interventi.
Non è casuale e si tratta, piuttosto, di una scelta consapevole, la scelta di
mettere al primo posto la condivisione di elementi sostanziali rispetto alla
questione dell’identità. Questo non significa che non produrremo identità nei
prossimi mesi, questo vuol dire che assumiamo il problema dell’identità come
processo e non come definizione preventiva. Per riprendere nella sua attualità

come farebbe un benjaminiano balzo di tigre nel passato

un segno che più di altri ha riguardato il vecchio ciclo di movimento, pensiamo
che no-logo sia il modo più adeguato per definire questa ipotesi di lavoro
politico e organizzativo che stiamo mettendo in campo. Si tratta, per esser
chiari, di una dichiarazione di ostilità al terreno della rappresentanza, fuori
e dentro le dinamiche di movimento. La domanda che vale non è più chi siamo; la
domanda, per noi e per gli altri, è cosa facciamo e come facciamo quello che
facciamo.

In conclusione
ci piace riflettere ancora su alcuni elementi relativi alla crisi di sistema
che stiamo vivendo. In un editoriale acuminato del Corriere della sera
Giavazzi attacca senza tregua chi, tra gli economisti e il mondo politico,
propone l’affermazione di un solido sistema di regole a contenimento del disastro
e della catastrofe. Parla di illusioni, dice Giavazzi, chi sostiene che la
finanziarizzazione dell’economia sia processo marginale e secondario rispetto
all’economia reale e industriale; altrettanto chi ritiene che si possano
imporre regole ai mercati della finanza. Giavazzi ci ricorda piuttosto che il
capitalismo è fatto di rischio e i rischi producono successi, ma anche
catastrofi; in più ci ricorda che rischio, illegalità e corruzione sono parti
integranti e sostanziali del capitalismo e del suo sistema di dominio. Chi
ritiene che si possa fare a meno di questo tasso strutturale di illegalità
(aggiungiamo noi di violenza), può ricorrere ai vecchi modelli sovietici, già
respinti dalla storia. Il carattere schietto di questa lettura, oltre a
togliere il fiato ad ogni ambizione neo-keynesiana, ci fa cogliere come in un
momento di crisi così solido riemerge in primo piano quel tratto violento e
illegale che sta all’origine del comando capitalistico. Già Marx al termine del
primo libro del Capitale ci segnala, attraverso la categoria dell’accumulazione
originaria, questo elemento. Ma il fatto interessante è che proprio nel punto
più alto della crisi il sistema capitalistico (che riduce a mero fatto
l’accumulazione originaria) perde la sua pacifica e regolata necessità, mentre
riemerge il carattere aperto, contingente e storico del dominio. Così come il
dominio si mostra come tale, contingente e storico, altrettanto potente diviene
lo spazio dei movimenti e della trasformazione.

Dalla tre
giorni di assemblea svolta presso il Csoa Rivolta, Marghera 10-11-12 ottobre 08

 

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RELAZIONE
SULL’ASSEMBLEA DEI CENTRI SOCIALI E SPAZI AUTOGESTITI

http://www.globalproject.info/art-17248.html

AUDIO INTERVENTI:

http://www.globalproject.info/art-17250.html

APPROFONDIMENTI:

MATERIALI AUDIO, TESTO E IMMAGINI
SULLA TRE GIORNI AL CS RIVOLTA,
MARGHERA (VE) 10.11.12 OTTOBRE ’08

http://www.globalproject.info/art-17239.html

 


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